In un contesto territoriale sempre più affamato di logistica efficiente e “green”, che si appresta alla realizzazione nella prossima decade di eventi internazionali che richiameranno grandi afflussi di persone, le Sezione “ARI Cadore” e “ARI Brunico”, hnno inteso commemorare attraverso un evento radiantistico l’anniversario dall’avvio della Ferrovia delle Dolomiti con l’utilizzo di un nominativo speciale: II3TDD.

100 anni fa iniziava il suo servizio il bel trenino bianco/blu, a scartamento ridotto, che collegava la stazione di testa della linea Calalzo P. C .- Venezia a quella di Dobbiaco sulla linea Lienz-Fortezza; rsalendo la Valle del Boite fino a Cortina d’Ampezzo e scollinando a Cimabanche scendeva per la Val di Landro fino a Dobbiaco. Per tale evento il direttivo della sezione sta emettendo una bellissima QSL che ritrae un passaggio del treno tra i larici autunnali sotto il massiccio del monte Sorapis.

Inizialmente la forza motrice era ovviamente legata al carbone, fatto assai dispendioso e complicato nell’insieme, ma nel giro di pochi anni, considerao che nell’alto Veneto c’era già una notevole produzione di energia idroelettrica, si passò a questo tipo di trazione. A tale scopo venne costruita la prima linea di trasporto a 20.000 V., su tralicci che tali e quali sono ancora in servizio; parte da San Giovanni di Calalzo e arriva a Cortina, che è grossomodo a metà di tutto il tracciato ferroviario, ove in una stazione di trasformazione e raddrizzamento passava ai 3.000 V. c.c. e poi distribuiti sulla “linea aerea di contatto”.


La messa in opera di tutti i pali per tener sospesa la “catenaria”, avrebbe portato facilmente anche alla posa di altri fili e così si pensò di installare in ogni stazione un telefono; considerata la nostra passione per le trasmissioni, ora specificatamente tratteremo di questi primi apparecchi.
Erano stati prodotti a Chicago negli U.S.A, con primo brevetto tra il 4 dicembre 1900 e il 26 marzo 1901 e ripetuto tra il 20 maggio e 3 giugno del 1913, come si apprende dalla testa del ricevitore in bachelite (Foto 2). Erano stati importati in Italia dalla ditta “Ing. F. Danioni & C.” esclusivista, così si legge sulla targhetta metallica fissata sul corpo principale (Foto 3).
La struttura (Foto 1) è tutta in legno di noce americano, con lavorazione molto accurata sia nella robustezza che nell’estetica; nel contenitore superiore (Foto 4) si trova la parte elettrica che si divide nelle 2 sezioni: il dispositivo di chiamata e quello per la fonia. Il primo è composto da un alternatore, identificabile dai 3 grandi magneti permanenti ad U, che tramite la manovella esterna, con rapporto di circa 1 a 8, gli viene fatto girare il rotore che sta in basso e che genera corrente alternata (assai facilmente raggiungere una 40ina di Volt) e serve solamente per far suonare i campanelli; il battacchio di questi si sposta a destra e sinistra in funzione della frequenza del generatore, difatti le due semionde attraggono l’ancoretta in basso una vota da una parte e viceversa. Dal particolare della Foto 5 si può notare che con l’alternatore a riposo il suo asse secondario (quello in alto col grande ingranaggio) sta rientrato lasciando chiuso un contatto che permette il transito della corrente alternata emessa dall’apparato corrispondente; quando invece è lui che si mette in funzione, quell’asse esce di circa 5 mm. e scambia quel contatto mettendo in prevalenza l’energia da lui prodotta. Se il ricevitore del proprio telefono e quello del corrispondente o del centralino sono riposti, allora entrambe le suonerie danno il segnale e ciò sta ad indicare quello che noi ora diciamo “libero”, se invece, pur girando la manovella, i propri campanelli tacciono, allora il servizio non è disponibile, quello che per noi è “occupato”.


Questo perché quando la leva che regge il ricevitore è abbassata, all’interno tiene chiuso un contatto che da consenso alla corrente di chiamata e contemporaneamente ne tiene 3 aperti relativi alla parte della voce, contrariamente quando si alza esclude le suonerie e dà corrente al circuito fonico. Questi 3 contatti, nel particolare di Foto 6, chiudono il circuito di alimentazione dalle batterie zinco/carbone che erano riposte nel vano inferiore col relativo coperchio che funge anche da appoggio per scrivere, viene dato consenso al grande microfono con la “trombetta” in bachelite, dove all’interno un leggero disco metallico, appoggiato a morbide guarnizioni, sollecitato dalle variazioni di pressione emesse dalla voce di chi parla, preme più o meno un’asta di carbone che a sua volta ha l’altra estremità immersa in un pozzetto pieno di granuli di carbone. Questo movimento fisico delle parti in carbone genera una variazione di resistenza che a sua volta fa variare la corrente che transiterà in serie sia nel microfono ed auricolare di chi parla in quel momento, sia in quelli di chi sta ascoltando.
Questa “corrente fonica” a sua volta agisce sul ricevitore che tramite due bobine genera un campo elettromagnetico variabile che attrae più o meno un dischetto di ferro dolce la qual piccola vibrazione rigenera l’onda fonica udibile dall’orecchio.

Ancor oggi nei telefoni analogici a filo, se si fa attenzione, si sente anche la propria voce; ciò perché, come detto sopra, i 4 componenti elettrici sono in serie. Già allora, come per sempre poi, era stato studiato un dispositivo che fa risaltare nel proprio ricevitore la voce del corrispondente onde rendere più chiara la conversazione. Tale dispositivo chiamato “anti-locale” lo si vede in fondo e in alto nel corpo superiore (Foto 4), quel cilindro nero con scritte rosse, che consiste in una doppia “induttanza” di valori notevolmente diversi e con avvolgimenti contrapposti e che ben funziona allo scopo.
Un po’ prima della seconda guerra questi telefoni sono stati sostituiti con altri più moderni e funzionali soprattutto perché l’energia per la parte fonica non era più fornita dalle batterie di ogni apparato, bensì dalla stessa centrale telefonica, come d’altronde funziona ancora adesso per quelli di tipo analogico che in genere si hanno in casa.
L’ iniziativa radiomatoriale dunque, è stata l’occasione di concorrere alla promozione di un territorio che si è subito attivato per sostenerla. Sono stati infatti ottenuti i patrocini della Magnifica Comunità di Cadore, del Comune di Calalzo di Cadore, Del Comune di Cortina d’Ampezzo e dalle locali Associazioni Lions e Rotary, conferendo dunque dignità istituzionale alle operazioni di collegamento, durante le quali si sono potute fornire in fonia alcuni utili informazioni relative alla prestigiosa storia di questa importante esperienza tecnologica vissuta oggi, come in passato dal territorio del Cadore – Ampezzo – Tirolo.
Osvaldo – IK3ZYM